Catene di farmacie su Manovra: no a passo indietro contro società di capitale

Le società di capitale che gestiscono e investono nelle libere farmacie sul territorio italiano chiedono ai vertici del Governo di ritirare il subemendamento alla Legge di Bilancio per il 2019 secondo il quale, i soci rappresentanti almeno il 51% del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere farmacisti iscritti all’albo, pena lo scioglimento della società salvo ristabilire la prevalenza dei soci farmacisti entro sei mesi. Lo chiedono in un comunicato congiunto in cui gli amministratori delegati Davide Tavaniello e Rodolfo Guarino di Hippocrates Holding, Domenico Laporta, di Admenta Italia-LloydsFarmacia e Paolo Venturi, di Dr. Max che in rappresentanza delle società che investono nel settore “esprimere un segnale di allarme”.

La modifica, depositata dall’Onorevole Giorgio Trizzino del Movimento 5 Stelle nella mattinata di lunedì 3 dicembre 2018, “costituirebbe un passo indietro fondamentale rispetto all’evoluzione del settore delle libere farmacie creando al contempo una grave incertezza del quadro normativo tale da minare la capacità di stimolare e attrarre investimenti anche in altri settori”. Nello specifico il testo presentato (subemendamento 41.029.7) prevede al comma 2-bis che “i soci, rappresentanti almeno il cinquantuno per cento del capitale sociale e dei diritti di voto, devono essere farmacisti iscritti all’albo. Il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci farmacisti professionisti nel termine perentorio di sei mesi. In caso d’intervenuto scioglimento della società, l’Autorità competente revoca l’autorizzazione all’esercizio di ogni farmacia di cui la società sia titolare” e l’adeguamento di quelle già costituite deve avvenire “entro e non oltre trentasei mesi dall’entrata in vigore della medesima legge”. Un chiaro “Stop alle società di capitale nelle farmacie” come lo stesso firmatario della modifica afferma sulla sua pagina facebook.
Ma secondo le tre società “Il subemendamento va in direzione opposta rispetto a un trend che, come già successo a livello globale, vede le farmacie evolversi ed arricchirsi (in termini di offerta, di servizi aggiuntivi, di fruibilità e di accesso digitalizzato) sotto la gestione di soggetti specializzati capaci di investire e valorizzare le professionalità che offre il settore al fine di garantire migliori servizi e facilità di accesso ai cittadini, e di raccogliere le nuove sfide proposte dalla stessa Amministrazione Pubblica (si pensi al Piano Nazionale della Cronicità) e rispondere a queste in senso fattuale e concreto. Realtà come le nostre, società italiane e multinazionali, hanno deciso di investire sul tessuto produttivo nazionale creando e mantenendo migliaia di posti di lavoro, ed hanno già messo in campo grandi impegni e forti investimenti, palesemente non tenuti in considerazione dal subemendamento suddetto. Sono oltre 300 le farmacie che rischiano di non essere più sostenute da una società a seguito di questo provvedimento, oltre 1.500 i posti di lavoro che sarebbero in grande rischio, e ammontante a circa 500 milioni di euro il fatturato aggregato delle aziende del settore che andrebbe irrimediabilmente a contrarsi, con gravi effetti anche sulla contribuzione all’erario”.
Si tratta ora di vedere se la proposta emendativa proseguirà il suo iter parlamentare, resta comunque interessante la chiara richiesta sollevata dai tre grandi gruppi.

Fonte: Farmacista33

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