Legge Concorrenza e capitali in farmacia: il trend non è prevedibile

Gli effetti della Legge Concorrenza sono incerti e i trend non prevedibili. Disparità tra situazione locale e nazionale
Sarà perché sono passati ormai più di due anni da quando è in vigore, si è riaccesa, in questo ultimo periodo, la discussione sugli effetti della Legge Concorrenza.
A riportare l’attenzione sul tema è stato un Briefing Paper “Cinque domande sul capitale in farmacia” elaborato da Carlo Stagnaro, direttore dell’Osservatorio economico digitale dell’Istituto Bruno Leoni che, per filosofia, si fa promotore di un punto di vista liberale. E, di recente, si registra anche il dibattito che si è aperto a Pharmaevolution, con un confronto tra Ornella Barra, Co-Chief Operating Officer di Walgreens Boots Alliance, e i vertici di Federfarma.
In particolare, tra i punti affrontati dall’Istituto Bruno Leoni c’è anche quello del rischio che dalla Legge Concorrenza possano generarsi monopoli: contro i quali, per lo studioso, sarebbero sufficienti la capacità di intervento dell’Antitrust – «il settore è oggi estremamente frammentato e le eventuali acquisizioni da parte di gruppi societari di grandi dimensione devono essere notificate all’Autorità Antitrust, secondo la disciplina della concorrenza» – e il tetto del 20% su base regionale.
Sul tema abbiamo sentito anche Paolo Leopardi, avvocato dell’omonimo studio, all’indomani del suo intervento a FarmacistaPiù.

Unirsi per fare economia di scala
«I dati» spiega Leopardi «vedono, a oggi, circa cinquecento farmacie (376 al 31 dicembre 2018) in cui la titolarità non è di tipo professionale, pari a una quota, su base nazionale, che è di circa il 2%. Un valore, di per sé, non particolarmente elevato, ma se si pensa che tale cifra è stata raggiunta in poco più di due anni, un tempo tutto sommato limitato, il dato assume un altro rilievo».
C’è poi una ulteriore considerazione da fare: «Se analizziamo la situazione a livello locale più che nazionale ci rendiamo conto di dimensioni tutt’altro che rassicuranti del fenomeno. Nel solo territorio di Roma e Provincia la quota di farmacie in cui la titolarità non è più riconducibile a un farmacista iscritto all’albo ha toccato il 13%. È vero che il dato è generico e può comprendere tanto le farmacie riconducibili a qualche grande gruppo o catena, quanto situazioni di ambito più famigliare, ma resta comunque elevato». Non solo: «C’è poi un’altra riflessione: i grandi gruppi stanno partendo a muoversi proprio dalle città più grandi, come appunto Roma e Milano, in coerenza per altro con la localizzazione stessa di tali soggetti».
È prevedibile quindi un trend in crescita? «Questo non è possibile dirlo a priori con certezza. Conterà molto anche la risposta dei farmacisti che vogliono rimanere indipendenti. Credo che occorra capire che da soli è tutto più difficile. Al contrario, unendosi, sfruttando economie di scala, si è in grado di sopperire in modo migliore alle inefficienze che possono avere realtà piccole rispetto ai grandi gruppi».

Fonte: Farmacista33

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